Chiara Baldini, docente di sostegno scuola secondaria di secondo grado, scrive:
“I Servizi Sociali, in Italia, non sono tutti uguali. Nella mia carriera di insegnante in scuole superiori con utenza molto complicata, ho incontrato Assistenti Sociali a dir poco magnifiche (non la maggior parte, purtroppo), che magari avevano da seguire più di un centinaio di casi, ma che non perdevano un colpo, di ciascuno seguivano ogni singolo passaggio, ogni dettaglio. Si informavano, sapevano fare rete con altri servizi – scuola compresa, collaboravano, si inventavano interventi magnifici. Letteralmente ho visto vite di ragazzine/i sull’orlo del baratro salvate da professioniste come queste. Ma, come in tutte le realtà fatte da persone – in primis la stessa scuola – non sono i ruoli a fare la differenza, ma chi quei ruoli li sa interpretare ed incarnare in un certo modo, con lo sguardo giusto, con il valore che meritano. Ho visto – e in un caso vissuto sulla mia pelle – conclusioni di affidi allucinanti, che non augurerei al mio peggior nemico. Gestiti malissimo, pasticciati, quando non apertamente ignorati. Ho pensato più volte, negli anni, che alcune Assistenti Sociali sarebbero state meglio a programmare pc, piuttosto che a gestire la vita di bambini che di sfortune ne hanno già avute più d’una. Eppure ho anche incontrato professioniste a cui avrei affidato il futuro delle mie stesse figlie il giorno dopo averle conosciute. Non ho un giudizio definitivo né assoluto da dare sul lavoro di chi si trova a fare un mestiere difficilissimo e certamente con mezzi non adeguati, ma so che per un ruolo delicato come quello dei servizi alla persona, io metterei il meglio del meglio, alzerei gli stipendi in maniera significativa, ma chiederei in cambio una qualità di intervento sempre alta. Perché se falliamo sui bambini, sulle famiglie, sui fragili che società siamo? Ben venga questo BLOG, dal titolo magnifico e dagli intenti molto interessanti, per raccontare il buono, ma anche per aprire un dibattito e confronto onesto, franco, sul mondo dei servizi e degli interventi rivolti ai più fragili.”
Franca Manoukian, psicosociologa, risponde:
Gentile dottoressa Baldini le sono particolarmente grata per la lettera che ci ha fatto avere e che rappresenta in modo tanto efficace delle situazioni di difficoltà vissute nelle scuole e affrontate con diversi approcci e con diversi esiti dalle assistenti sociali che sono state chiamate a intervenire. Apprezzo molto che sottolinei la complessità dei problemi e la competenza con cui in alcuni casi sono stati riconosciuti e trattati, con “interventi magnifici”.
Vorrei proporle tuttavia un’ipotesi un po’ diversa rispetto alle strade percorribili per contenere o evitare gestioni pasticciate e malefiche : Se è vero che sarebbe opportuno dotare di stipendi adeguati e di mezzi più appropriati il lavoro delle assistenti sociali credo che vada anzitutto considerato che intervenire rispetto a problemi complessi richieda di non intervenire come singoli professionisti ma come un servizio organizzato, ovvero come un sottosistema organizzativo: non possiamo immaginare di ricorrere soltanto a singoli professionisti, motivati, preparati, responsabilizzati e anche in grado di individuare di volta in volta, in modo creativo e significativo, i percorsi da intraprendere per contenere malesseri e sostenere modificazioni possibili.
E’ l’organizzazione del Servizio Sociale che può selezionare persone effettivamente dotate per un lavoro che richiede notevoli investimenti conoscitivi e che espone a incontri carichi di dimensioni affettive perturbanti ; è l’organizzazione che sostiene ogni professionista nell’esercizio del ruolo, orientando la identificazione dei problemi e degli obiettivi; è l’organizzazione che facilita cooperazioni necessarie per comprendere e per operare con continue e attente verifiche rispetto a quello che si sta realizzando, attivando coordinamenti all’interno del Servizio e con interlocutori esterni. L’organizzazione dei Servizi sociali (e in genere di tutti i Servizi alla persona) è dominata da modelli di funzionamento amministrativo/ burocratico, rigidi e impersonali, che sono i meno congruenti per realizzare un lavoro ad alto contenuto relazionale: un lavoro cioè che esige in ogni sua declinazione attenzioni specifiche, ascolto flessibile e ravvicinato, impegno in una ricerca positiva (e innovativa) di opportunità da scoprire e mobilitare.
Il BLOG nasce anche grazie alle esperienze di operatori, dirigenti, consulenti e formatori che da alcuni anni stanno lavorando per la realizzazione di Servizi in questa prospettiva di costruzione organizzativa.
Saremmo molto lieti di continuare scambi e confronti che ci portino a ricercare orientamenti e processi operativi più adeguati, con contributi provenienti da diversi punti di vista.
Chiara Baldini riprende:
Guardi, sono assolutamente d’accordo con la sua visione. Non molto diversa è la mia esperienza da docente di sostegno, sempre a disagio in un sistema rigido, precostituito, prescrittivo, con regole tarate “sull’alunno stadard”, che, accidenti, NON ESISTE, lontanissima da quei modelli di flessibilità che lei citava. Noi insegnanti, per di più, non abbiamo nemmeno un supporto psicologico, psicopedagogico, o di supervisione al nostro lavoro, una cosa, questa, che ci espone moltissimo sia dal punto di vista emotivo che relazionale. E’ assurdo, la premessa al burnout per noi e a proposte inadeguate per i nostri ragazzi/e.
Recentemente, con i colleghi, stiamo seguendo due alunni in particolare (un ragazzo e una ragazza), le cui situazioni famigliari sono di una drammaticità senza fondo. Per una di loro abbiamo mandato segnalazioni multiple, da gennaio, ai Servizi (Consorzio Lodigiano) e non è successo ASSOLUTAMENTE NULLA. Ci hanno, in sostanza, lasciati soli. Che possiamo fare? Noi siamo la scuola, non l’Ente Tutela Minori. Vediamo la nostra alunna smarrirsi, rovinare il proprio presente e ipotecare il futuro senza poter fare quasi nulla. Le cito questo esempio non per recriminare chissà che, ma per sottolineare, ancora una volta, quanto io sia d’accordo col suo punto di vista: è necessario muoversi in sinergia, unire le forze, in un sistema flessibile ed integrato di competenze. Noi docenti siamo spesso abbandonati a noi stessi (proprio come alcune Assistenti Sociali, mi par di capire), ci muoviamo per sensibilità, per intuito a volte, per buon senso, ma è un processo profondamente sbagliato e spesso disfunzionale. A volte sono gli stessi Dirigenti Scolastici che, giustamente, ci riportano al nostro ruolo, sottolineando che la scuola ha un proprio campo d’azione oltre al quale è inopportuno addetrarsi. Ed è, esattamente come quello che descrive lei, un campo d’azione burocratico e performante, lontanissimo da ciò di cui avremmo bisogno. Io nasco docente di filosofia e scienze umane, prima di specializzarmi sul sostegno, e sono affezionatissima al concetto di cura proposto da Heidegger, il quale a mio avviso potrebbe rappresentare la base teorica perfetta per i servizi alla persona. La cura inautentica sottrae all’altro la possibilità di curare se stesso, gli toglie autonomia, procurandogli direttamente ciò di cui ha bisogno; la cura autentica invece aiuta l’altro ad assumersi la propria cura e quindi lo rende libero di realizzare il proprio essere.
Ecco, io trovo che per fare questo, occorra adattare l’intervento sulle caratteristiche, le risorse e i bisogni di ogni singolo alunno, di ogni singolo minore. Non si può inscatolare i processi di cura in una rigida sequela di interventi stabiliti a priori. L’anno scorso, da una sua Assistente Sociale, mi sono sentita dire “va bé, professoressa, l’educatrice domiciliare gliela abbiamo mandata, il percorso psicologico per un po’ l’ha seguito, noi siamo a posto”. Noi siamo a posto??? Ecco, in questa chiosa direi che sta tutto quello che anche lei sottolineava nella sua mail, e che io sposo in toto. La logica secondo la quale se le procedure sono a posto, allora il caso è stato ben gestito mi fa solo ridere…per non piangere a dirotto.
Ben volentieri sono disponibile ad un confronto, anche a distanza, attraverso il blog o altro.
Grazie infinite per il vostro ascolto attento.
Franca Manoukian, conclude:
Cara Chiara constatando tra noi notevoli sintonie sono sollecitata a continuare qualche punto del discorso che abbiamo aperto. Mi pare che non si possa continuare a pensarci come ‘noi’ e ‘voi’, noi siamo la scuola e voi siete i servizi. La cosiddetta tutela minori ci riguarda tutti, al di là delle compartimentazioni istituzionali che si sono consolidate nel tempo per una malintesa, malandata e sorpassata idea di divisione del lavoro che impone separazioni e specializzazioni, trasportata dalla produzione industriale alla organizzazione dei servizi sociali e sociosanitari. La suddivisione di funzioni e di compiti avviata (forse ingenuamente o illusoriamente) nel secolo scorso per rispondere a complessità crescenti si è modellata entro una razionalità astratta di cui oggi si vedono i limiti ma ben poco le modifiche possibili. Ciascuno finisce per sentirsi sicuro nel proprio ambito circoscritto e attende che siano altri a intraprendere e intervenire. Quando parliamo di ‘tutela minori’ che cosa intendiamo: forse non è neppure rappresentato e confrontato il significato chiediamo a queste parole. Significa ‘protezione’? Come possiamo proteggere se continuiamo a mettere in pericolo la salute, la vita, la convivenza. la sopravvivenza. Forse possiamo cercare di tutelare dei diritti, i diritti a essere considerati cittadini, soggetti a pieno titolo. Più che individui appartenenti a una categoria – i minori – per definizione in posizione inferiore, sottostanti, sottoposti, sottomessi (buoni se obbedienti). Nella scuola quanto si tutelano i diritti dei bambini delle ragazze, dei ragazzi? Le istituzioni per la loro stessa permanenza tendono a rendere i singoli dipendenti. Mary Douglas scrive che le istituzioni – le appartenenze alle istituzioni – conferiscono identità: sono come un pilota automatico nelle menti dei singoli. Stiamo forse vivendo in un periodo non normale in cui è possibile grazie a convergenze e interazioni inedite, re-istituire qualche formazione sociale più attenta e rispettosa dei diritti, più rivolta a promuovere capacitazioni e ridurre disuguaglianze. E mi sembra che il bel contributo di Veronica (vedi commento in calce) dica che esistono tensioni positive e concrete potenzialità per andare in questa direzione. Ci tocca provare, per lo meno provare. Grazie Chiara, grazie Veronica.
Si tratta di un dibattito aperto. Invitiamo i lettori del blog a intervenire.
2 commenti On Apriamo un dibattito sui servizi
Molto interessante questo scambio di ‘competenze’.
Io sono una mamma affidataria innamorata dei servizi sociali quelli buoni, quelli che funzionano nella tutela del minore.
Con loro ho sempre ‘lavorato’ ottimamente, senza stress e con quel senso di condivisione verso un progetto comune.
Il successo dei servizi sociali che funzionano sono le persone.
Quelle che hanno a cuore il bene del minore, che lo ascoltano anche se ‘piccolo’, quelle che stilano un progetto strutturato che porta delle conseguenze e hanno la forza di sostenerle.
Tante cose si potrebbero dire, ma in questo momento il mio pensiero va ai servizi della Valdenza, i servizi con cui mi sono trovata meglio in assoluto. Quelli che ti ascoltano, ti sostengono, cercano di alleggerire il tuo carico, che non giudicano le tue debolezze ma anzi ti mostrano altre prospettive. Quelli che ti rispondono alle 3 di notte anche quando sono in ferie mettendoti in sicurezza. Loro erano questo. Il tribunale farà il proprio lavoro, ma penso sempre che tante di queste persone hanno avuto la vita distrutta per una cattiva gestione mediatica. Mi addolora molto tutto questo perché non ci sarà tribunale che possa togliere loro macchie indelebili, anche se saranno poi assolti.
Un abbraccio a tutti voi che fate un lavoro meraviglioso e avete questa grande responsabilità tra le mani. Migliorare la vita di tanti bambini. Grazie
Le storie, difficili, complesse, sfaccettate e multiformi, contraddittorie. I diversi attori con le loro appartenenze sociali ed istituzionali: una pluralità di punti di osservazione, vissuti, ruoli, approcci metodologici, supporti organizzativi. Professionisti dell’aiuto, insegnanti, famiglie affidatarie, volontari, vicinato… Una complessità che diventa ricchezza quando si riesce a fare convergere lo sguardo, con reciproca fiducia, sul bambino, mettendo al centro i suoi bisogni e sospendendo il giudizio.
Dopo aver letto i preziosi contributi, mi piace rappresentare con queste suggestioni il lavoro di tutela che svolgo da più di 25 anni, direttamente e in ruolo di coordinamento. Osserviamo criticità organizzative nel sistema di cura e protezione dei bambini, viviamo alcuni incontri e combinazioni operative non propriamente ” agevolanti” .
È importante soffermarsi nell’analisi delle storture e delle contraddizioni, ma anche narrare le numerose combinazioni di attori e percorsi che sanno essere “cura” accompagnando la vulnerabilità, riuscendo a fare un po’ la differenza nella di vita dei bambini e dei loro genitori. Spazi come questo sono importanti, a mio parere, per promuovere il confronto su come sostenere e migliorare il sistema di protezione mettendo in circolo prassi generative e trasformative, orientate alla fiducia. Grazie