Affidarsi e fidarsi ai tempi del Covid

Lavorare nel sociale ai tempi del Covid è ancor più difficile.
Spesso viene meno la relazione in presenza con le persone che seguiamo e con i colleghi.
Il video altera la percezione di vicinanza e di prossimità con l’altro, rende ancor più complicata la costruzione del legame di fiducia che nel tempo alimenta il cambiamento.
Le mascherine nascondono il sorriso, modificano i volti e le espressioni. Manca il contatto fisico, la stretta di mano, la vicinanza.
Dietro le mascherine e i monitor, però, sento ancora la spinta vitale e la voglia di mettersi in gioco.
Sento ancora la fiducia delle persone, la loro capacità di affidarsi, di chiedere aiuto o di offrirlo.

E allora “affidarsi” è telefonare al parroco che conosci da tanti anni, ma che hai perso di vista perché la sua parrocchia non è più sul tuo territorio.
Dirgli: “Don, sono disperata, ho una bambina che vive nel tuo quartiere che ha bisogno di aiuto, di qualcuno che possa occuparsi di lei per qualche pomeriggio alla settimana, per alleggerire la mamma, che ha anche un altro figlio disabile… conosci qualcuno?”
“Non saprei Elena, siamo in piena pandemia, ma non ti preoccupare. Lancio un appello”.
Pochi giorni dopo mi chiama Caterina, una signora deliziosa. Mi dice di aver letto sul bollettino settimanale della chiesa che c’è una bimba che ha bisogno di aiuto. Ci conosciamo, le racconto che cos’è l’affido sostegno, una famiglia che supporta un’altra famiglia. Lei abita a pochi passi dalla bambina, che ora sta con lei due giorni a settimana. Insieme fanno degli splendidi lavoretti con la carta e la stoffa, perché Caterina, che sto conoscendo di giorno in giorno, oltre ad amare i bambini ed i libri ama molto il decoupage.

“Affidarsi” è contattare Guglielmo, il tuo utente più simpatico, quello che quando viene ti dice che ti vuole bene, che noi siamo la sua famiglia. Nella vita ha sempre fatto l’imbianchino-muratore-tuttofare.
“Senti Guglielmo che ne dici di accompagnarmi a casa di un ragazzo che vive qui vicino? Ha appena avuto la casa popolare e non ha nessuno perché è cresciuto in Comunità. Non ha un soldo. Il lavandino non funziona e un idraulico non può pagarselo… non è che possiamo andare a dare un’occhiata?”
Guglielmo è tornato molte volte a casa del ragazzo, prima per conoscerlo e guardare il rubinetto che non funzionava, poi per montargli quello nuovo, le altre volte per vedere come stava.
Perché Guglielmo, che in passato ha conosciuto la strada e il dolore, ora che ha una certa età, sa riconoscere a distanza chi dalla vita ha avuto ancor meno di lui.

“Fidarsi” a volte significa azzardare. Prendere in mano il telefono e comporre il numero trovato su internet e chiedere “Il suo papà per caso si chiama Giorgio? Sono la sua assistente sociale, lui non avrebbe mai voluto che io la contattassi, perché so che non lo sentite da oltre vent’anni. Ho provato tante volte a convincerlo ma ha sempre detto, con le lacrime agli occhi, che non voleva disturbarvi”.
Giorgio è in coma, dopo aver contratto il Covid. E’ molto grave e probabilmente non sopravviverà.
Per questo decido di infrangere la promessa fatta a Giorgio e di chiamare le sue figlie. Perché hanno diritto di sapere.
Al funerale sono presenti poche persone, il parroco che lo ha ospitato per alcuni mesi mentre scontava una vecchia pena ai domiciliari, insieme ai ragazzi volontari che hanno abitato con lui.
In un banco un po’ nascosto ci sono anche Patrizia e Francesca, che dopo giorni di riflessione hanno deciso non solo di venire al funerale, ma anche di pagarlo. Hanno fatto il loro dovere di figlie, ma soprattutto hanno fatto pace con il loro passato, con quel padre eternamente assente.

Affidarsi è sapere che se lanci un sasso qualcuno lo raccoglierà. Come quando alla sera alle 20.30 scopri che tuo figlio è ammalato e, di questi tempi, non puoi portarlo dai nonni con la febbre.
Ma il giorno successivo sai che hai un impegno importante al lavoro: un bambino e la sua sorellina devono incontrare il loro papà, che non vedono da 15 giorni. Con il cuore in mano ti affidi e scrivi nella chat del lavoro una richiesta di aiuto.
Sai benissimo che al lavoro siamo in pochissimi, molti sono in smart working e quelli rimasti in servizio sicuramente avranno programmato mille cose. Nonostante questo ti affidi e chiedi aiuto.
E Monica risponde subito, l’incontro con i bimbi lo gestirà lei incastrandolo fra i suoi tre appuntamenti e la visita domiciliare, nell’assoluta certezza che la prossima volta, in caso di bisogno, le renderò il favore.

Voglio immaginare che questo Covid prima o poi passerà.
Ho voglia di vedere i visi delle persone con cui lavoro, utenti e colleghi.  Ho voglia di confrontarmi con loro, ho voglia anche di discutere, arrabbiarmi e poi recuperare. Ho voglia di normalità.
Ma non è ancora il momento e devo avere pazienza. In questo tempo di attesa però voglio continuare ad avere fiducia e ricordarmi che anche se lontano da me, dietro quelle mascherine, ci sono mille Don Davide, mille Caterina, mille Guglielmo e mille Monica su cui posso sempre contare.

3 commenti On Affidarsi e fidarsi ai tempi del Covid

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