Quelli che si comportano come noi vogliamo, come ci aspettiamo che siano e che facciano?
Quelli che mangiano, dormono, giocano senza fare casini, non si sporcano e non sporcano troppo, non invadono tutta la casa, parlano non a monosillabi e non urlando, non assillano con domande di avere e di fare, quelli che ci lasciano in pace quando siamo stanchi e insieme sono vivaci, autonomi, intelligenti, divertenti, affettuosi, simpatici, socievoli, …
Questi non sono bambini.
Sono le idee che abbiamo dei bambini.
Magritte disegnava una pipa perfetta e scriveva questa non è una pipa.
Forse fin da molto piccoli bambini e bambine sono obbligati a adattarsi alle nostre paure di non essere genitori adeguati, a corrispondere ai nostri desideri di godere di sorrisi e progressi nel crescere, di mantenere i ritmi di vita quotidiana a cui siamo abituati: sono inevitabilmente, felicemente costretti a darci delle soddisfazioni e delle conferme di immagini positive di noi stessi, come mamme e papà e non solo come lavoratori e cittadini, come capaci di produrre reddito e ottenere rispetto e successo.
Dato che alcuni si sono accorti che ci mettiamo sempre noi al centro, ci si è inventati
“il bambino al centro”.
Sappiamo che quando cambiano soltanto i nomi di chi è collocato in posizioni asimmetriche precostituite, i rapporti si modificano ben poco.
Permane immutata una visione statica di chi comanda e di chi obbedisce e non riusciamo a aprire la finestra del nostro pensare/agire a un altro ordine di idee. A una rappresentazione dinamica di rapporti, a un riconoscere continuo – e sorprendente – dei movimenti, dei passaggi e delle inerzie che, voluti e non voluti, si avvicendano intorno a noi. Se i rapporti tra grandi e piccoli, giovani e vecchi, uomini e donne, ricchi e poveri si marmorizzano, diventano sterili, rinforzano le disuguaglianze, mortificano la vitalità, non permettono di crescere, rifiutano il futuro.