Affido, tante storie da raccontare

“Affido, tante storie da raccontare – Gruppi di famiglie prendono la parola” è il libro che racconta il nostro lavoro di assistenti sociali realizzato nell’ambito dell’affido familiare per circa 20 anni. Ne restituiamo tre spunti di riflessione: “affidarsi a un bambino”, “porsi dal punto di vista del bambino”, “condividere la responsabilità tra famiglie affidatarie e servizi sociali”. 

Una sera un gruppo delle famiglie affidatarie è stato coinvolto nel progettare iniziative per la promozione dell’affido, una delle prime cose da decidere era lo slogan. Dopo un lungo dibattito un papà disse: “Mi è venuto in mente che il messaggio da lanciare potrebbe essere <Colora la tua vita affidati ad un bambino>.” Nel gruppo si creò  quel silenzio  pieno di stupore che segue quando si accoglie una sorpresa… Affermare che i bambini sono “colore” significava mettere in primo piano il dono di umanità che ogni bambina, ragazzo, adolescente porta in ogni famiglia affidataria, ed anche in quella di origine, fino anche agli operatori dei servizi e alle scuole. Proporre di “affidarsi ad un bambino” suggeriva un cambio di prospettiva:  accogliere nella propria casa e quindi “affidandosi alla provocazione” di un bambino, può diventare l’opportunità per iniziare a condividere con lui un’esperienza di cambiamento. Come si racconta nel libro una coppia di affidatari che aveva ascoltato la necessità di un bambino di essere accolto in una famiglia: “Il pensiero di chiudere la nostra porta ci deprimeva così tanto che alla fine abbiamo deciso di fidarci e di chiedere agli altri di affidarsi”. Nelle diverse esperienze delle famiglie si intravede come  “l’affidarsi” sia un verbo non facile per i bambini, i ragazzi e gli adolescenti che sono i primi protagonisti dell’affido; si rileva  come sia una  parola temuta e spesso sconosciuta dai loro genitori fragili, si coglie altresì come sia un’ esperienza complessa per le famiglie affidatarie e per i loro figli naturali. Il libro infatti racconta anche come quella stessa sera, durante il lavoro di progettazione della campagna di promozione dell’affido, una mamma con sano realismo disse:  “E’ vero i bambini colorano la nostra vita, ma a volte colorano anche di buio le nostre giornate.”. Anche questa provocazione fu accolta perché raccontava della vita reale, dell’essere genitori capaci di “tenere assieme” i giorni belli e quelli meno, le battute di arresto come i successi. 

 “Porsi dal punto di vista del bambino”.  Come mettersi nei panni del bambino come sviluppare capacità di sentire quello che sente lui, la sua fatica ad adattarsi ad una nuova realtà; la sua difficoltà di fidarsi e affidarsi, come accogliere il suo dolore e la sua rabbia? Nel 2000, uno dei primi manuali pubblicati per progettare il Piano Territoriale per l’attuazione della Legge 285, aveva previsto in ogni capitolo un paragrafo dal titolo “taglio basso – porsi ad altezza di bambino”. Il “taglio basso”, ovvero il sapersi porre ad altezza di bambino o di adolescente è stata per noi la prospettiva con la quale osservare e comprendere tante situazioni, anche molto difficili, per poi provare assieme ad individuare il modo di porsi a fianco. Il libro riporta una pagina molto suggestiva scritta di una insegnante che ha avuto in classe un ragazzo in affido: “Mi hanno detto che sei diverso, che alle volte ti arrabbi, che ti senti perso. Mi hanno detto di te che hai una nuova casa, che hai alle spalle un inferno. Ed io per te cosa posso fare, vorrei farmi piccola, dinanzi al tuo mare. Mi chino al tuo fianco, per ascoltare tutto quello che vorrai raccontare. E se le tue parole saranno silenzi, se ancora e ancora stringerai i denti, sarà il momento di inventare una nuova strada per poterti riabbracciare”.

 Terzo punto per noi significativo: condividere la responsabilità del progetto di affido tra famiglie affidatarie servizi sociali, a fianco gli uni degli altri, ognuno on il proprio ruolo e con un’unica finalità comune: il bene del bambino. Quando questa corresponsabilità tra operatori e famiglia è ben strutturata nel progetto di affido, i ragazzi stessi la percepiscono, come è testimoniato da una ragazza, prossima alla maggiore età, che scrive nella sua lettera indirizzata al Tribunale per i minorenni per chiedere il prosieguo amministrativo: “In questi anni, la famiglia mi ha aiutato tanto a maturare e mi ha insegnato che la vita è mia e ad ogni scelta che mi trovavo davanti dovevo decidere con la mia testa. Come in tutte le famiglie capitava di litigare ed avere momenti di incomprensione, ma si risolvevano sempre dopo averne parlato meglio. La mia famiglia sono loro, chiedo il prosieguo amministrativo perché ho bisogno di loro…ho bisogno anche dei servizi sociali che ormai da più di 10 anni mi aiutano nel mio percorso, in particolare nel rapporto con la mia famiglia d’origine e con le mie sorelle naturali” .

Il libro che abbiamo scritto è nato dunque dal desiderio di “consegnare il testimone” ad altri operatori perché l’esperienza dell’affido familiare e dei gruppi di famiglie, possa continuare ed evolversi. Sono pagine che intendono segnalare ai colleghi quanto “patrimonio sociale ed educativo”, possono generare i gruppi di famiglie affidatarie. A loro dobbiamo il giusto riconoscimento e una grande riconoscenza, laddove l’affido familiare diventa un’esperienza che concorre a costruire nei territori “comunità educanti” capaci di accoglienza e di solidarietà. 

1 commenti On Affido, tante storie da raccontare

  • GIÙ LE MANI DAI SERVIZI SOCIALI
    Come educatore professionale e counselor in prima linea da 40 anni in strutture per tossicodipendenti e minori, ho raccolto storie strazianti di violenze di ogni genere, ragazze e ragazzi che hanno subito traumi, abusi e non hanno trovato di meglio che droghe, alcol, violenza, malattie psichiatriche e suicidi per lenire le loro ferite, per autocurarsi con ciò che la nostra società offre più facilmente di prevenzione e cura del disagio. Lo spazio e il tempo per trovare qualsiasi sostanza stupefacente è mille volte inferiore a quello di trovare un servizio accogliente. La droga e altro lo si trova in pochissimi minuti, un colloquio anche solo di sostegno, giorni a volte settimane. Forse se da piccoli avessero incontrato operatori qualificati una scuola con le giuste risorse non sarebbero ricorsi a droghe e alcol e non sarebbero finiti in cliniche, comunità o carcere con disturbi psichiatrici a volte anche gravi, non si sarebbero tolti la vita, e aimè quanti ne abbiamo persi.
    È giunta l’ora di cambiare narrazione, di dar voce a coloro che da anni lavorano duramente per aiutare, sostenere e salvare bambini ma anche donne e uomini che sono stati abusati, picchiati, maltrattati, feriti, criticati, violentati, torturati, uccisi, nel corpo e nell’anima.

    E giunta l’ora che dirigenti dei servizi sociali, assistenti sociali, educatori, psicologi e donne e uomini affidatari, adulti accoglienti, volontari, insegnanti e speriamo qualche politico onesto, alzino la voce, che dicano che il racconto di Bibbiano non solo è falso ma velenoso, sadico come lo era la santa inquisizione nel medioevo. Si perché la gogna mediatica se avesse potuto avrebbe mandato in diretta le torture e le streghe al rogo. Ma sono bastate, come canta Cesare Cremonini, le parole: “Le tue parole fanno male sono pungenti come spine sono taglienti come lame affilate”. Grazie a Dio non si è avuto seguito alle minacce che non solo gli imputati hanno ricevuto e ancora ricevono ma anche altri professionisti non coinvolti.

    È giunta l’ora di mettere giù le mani dai servizi sociali, dai servizi educativi

    Eliseo Bertani educatore Professionale e counselor specializzato in dipendenze patologiche.

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